giovedì 23 aprile 2009

Voto nel solstizio d’estate: referendum colpito al quorum

Dopo tante diatribe sulla fatidica data del referendum di giugno, il giorno è spuntato fuori dal cilindro e ha tanto il sapore d’estate, di vacanze, di mare. Si voterà infatti il 21 giugno, data che in qualche modo mette d’accordo i partiti e che lascia attoniti e sgomenti gli italiani. Perché non si poteva votare il 7 giugno, insieme alle europee, in un “election day” che avrebbe fatto risparmiare soldi allo stato e dunque ai cittadini? L’impossibilità secondo la Lega che “gufa” contro il raggiungimento del quorum, risiede in motivi costituzionali. Motivazione che non convince ma che non discute il premier Berlusconi pronto a scongiurare una ben più grave crisi di Governo, con ripercussioni ancor più nefaste sull’economia nazionale. Scontro anche sulla data del 14 giugno, l’ultima disponibile stando ai dettami della nostra carta costituzionale che fissa i limiti di una eventuale tornata referendaria entro il 15 giugno. E allora che fare? Scartata l’ipotesi di un decreto legge per posticiparne i termini al 21 giugno, data in cui si voterà anche per gli eventuali ballottaggi delle amministrative, perché il capo dello Stato rigetta i criteri della necessità e dell’urgenza propri di un decreto, ora si attende la cosiddetta “leggina”. Tanto rumore per nulla. La Lega tira intanto un sospiro di sollievo visto che, con la vittoria dei sì, ci sarebbe il rischio di un sistema bipartitico a scapito proprio del partito di Bossi, che da poco ha compiuto 25 anni confermandosi essere il partito più vecchio del nostro Parlamento. Esperienza insegna,infatti,che il raggiungimento del quorum è quasi una chimera, considerato che l’ultimo referendum vinto dagli italiani risale al 1995 (quello sulle trattenute dei contributi sindacali, la privatizzazione della Rai-Tv ed il soggiorno cautelare). La partita referendaria dunque, ancora una volta, si gioca proprio sul quorum. Di fatto, una proposta soggetta a referendum, come prevede l’art. 75 della Costituzione, è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e cioè tutti quelli che possono votare per l’elezione della Camera dei Deputati, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validi. Ora la domanda sorge spontanea. Se il referendum è un istituto di democrazia diretta con cui si dà al popolo la possibilità di decisione, perché mai i partiti si danno briga di annullarne ogni potere? Che senso ha minare il raggiungimento del quorum, con inviti spesso tutt’altro che subliminari, come quelli di andare al mare, di non recarsi alle urne o di starsene tranquilli e a casa, confondendo le idee? E ancora, se gli italiani sono così biechi da non vedere l’importanza di poter esercitare direttamente un potere di democrazia, ed intanto criticano chi esercita per esso indirettamente il potere, e si lasciano influenzare dal fatto che alcuni referendum vinti, tipo quello sul nucleare (1987) e quello sul finanziamento pubblico ai partiti (vinto nel 1993, ma che era stato già presentato nel 1978), sono stati poi vanificati dalla politica, ma allora perché spendere ancora soldi e sprecare energie per la raccolta delle 500 mila firme necessarie per indire un referendum? Forse i tempi sono maturi per votare un ultimo referendum: quello appunto per l’abolizione del referendum. Strano che qualche scienziato della politica non ci abbia pensato.
Angela Francesca D’Atri

2 commenti:

  1. E già mi sa che il 21 giugno sarò al mare... peccato avrei votato sì!!

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  2. Perchè al mare ? Meglio poter scegliere chi ci deve governare! E allora tutti a votare SI!

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