martedì 2 dicembre 2014

Babbo Natale in fuga dalle tasse


Chi ha visto Babbo Natale? Santa Clause per una buona percentuale di italiani è andato in ferie già da un po' di anni. Quest'anno in particolare, la colpa è delle tasse. Anche quei pochi fortunati che si sono visti accreditare in busta paga i famigerati 80 euro, devono fare i conti proprio nel mese di Natale con la Tasi, quasi il doppio della vecchia Ici. La befana ci porterà, invece, cenere e carbone con il pagamento del canone Rai per tutti, anche per quelli che per non pagare l'odioso balzello avevano rinunciato alla tv, per pagare basta essere intestatario di una bolletta della luce. Cos'altro rimane da tassare? Lo scorso ottobre, è stata introdotta la manutenzione obbligatoria dei pannelli solari da aggiungere a quella della caldaia, e chi più ne ha più ne metta.  Se proviamo a tracciare il prototipo del cittadino che riesce a sfuggire a questo salasso, viene fuori un dipendente con stipendio inferiore a 1500 euro al mese, in affitto meglio se in nero così non paga la tasi, o a casa con i genitori, naturalmente senza figli e moglie a carico. Dopo le tasse, ci chiediamo dove sia la crescita del Paese. C'è chi pensa anche agli aumenti degli stipendi e delle pensioni con il gioco delle tre carte, ipotizzandone un raddoppio con il ritorno alla vecchia lira. Naturalmente è un’ipotesi, tra l’altro definita da molti anche del tutto errata, del resto abbiamo patito sulla nostra pelle il cambio sfavorevole nel passaggio da una moneta all’altra, quando nei primi giorni dell’euro diminuì sensibilmente il nostro potere d'acquisto. Stiamo diventando un Paese buio. Se già molti per risparmiare hanno deciso di passare dal metano alla legna, chi può dirlo che non arriveremo a riscoprire le vecchie candele? Visto che è Natale, confidiamo in un lampo di genio che illumini le coscienze di chi ci governa, le tasche degli italiani sono vuote non c'è altro da prendere.
Angela Francesca D'Atri (editoriale La Voce dei Castelli, dicembre 2014)

martedì 4 novembre 2014

Finché c'è la salute c'è la sanità!

Si dice che finché c'è la salute c'è tutto. Mai affermazione fu più vera di questa, specie nel difficile momento di crisi che stiamo vivendo anche a livello sanitario. Con l'ebola che minaccia il mondo, gli ospedali non sono ancora del tutto preparati ad un’eventuale emergenza. Il bilancio sanitario in rosso porta solo a tagliare. Le forbici, però, non tengono conto delle esigenze dei cittadini mentre le liste d'attesa si allungano. L'attesa fa paura. Se a Roma per fare una risonanza magnetica bisogna attendere circa dieci mesi, figurarsi negli ospedali dei Castelli, dove ogni giorno si annuncia la chiusura di un nuovo reparto. La sanità è allo sbando? Allo sbando è il cittadino che nel momento in cui sta poco bene non ha alcun punto di riferimento. Il medico di famiglia si limita a prescrivere esami su esami, con i ticket alle stelle e spesso non si riesce a venire a capo del problema. Quasi sempre, per cercare di guarire, occorre rivolgersi allo specialista privato, che a conti fatti (benzina, ticket, tempo di attesa e speranza di guarigione) è pure più conveniente. Il problema è che nessuno ci ripaga del tempo sprecato dietro a diagnosi errate, a cure inesatte, di esami che non servivano. Mi ha colpito la lettera di una signora giunta in redazione per raccontare il calvario subito dal marito per guarire un'epistassi. L'uomo dopo aver girato gli ospedali dei Castelli con un'emorragia che non si arrestava, è guarito solo dopo essersi rivolto ad un otorino privato. La scure che si è abbattuta sulla sanità, dopo anni e anni di sprechi, sta ora travolgendo i cittadini. Come ne usciremo da questo vortice?
Angela Francesca D'Atri (editoriale La Voce dei Castelli, novembre 2014)

giovedì 9 ottobre 2014

Il lavoro che non c'è, con o senza articolo 18

Si parla tanto in questi giorni di articolo 18, l'articolo dello Statuto dei lavoratori che divide il Pd e fa andare in fibrillazione i sindacalisti. E loro i lavoratori? Come ormai tutti sappiamo, sono una specie in estinzione. Almeno quelli che possono appellarsi all'articolo 18. Gli occupati italiani diminuiscono giorno per giorno, all'orizzonte nessun dato confortante a parte qualche segno di stabilità per i più vecchi, ma i giovani rimangono lì con la valigia a portata di mano. Ritornando all'articolo 18, senza entrare nel merito se sia giusto o meno licenziare, ma sembra possibile che in un momento di grave disoccupazione si pensi solo a dare questa tanto anelata libertà al datore di lavoro? Possibile che si voglia salvare la pelle ai pochi, mentre l'Italia intera affoga? Possibile che si passino intere settimane a discutere di un articolo e non si creino situazioni che possano davvero risollevare l'economia? Ripeto, senza entrare nel merito, per carità, potrebbe essere pure giusto, del resto il fatto che il premier voglia anche cancellare i Cococò e i “Coccodè” gli fa onore. Però il dubbio viene. Non è che il fine ultimo sia creare una figura ibrida di lavoratore che abbia sempre meno diritti? Ricordiamoci che molti “gioiellini” dell'impresa italiana hanno lasciato il suolo nazionale, e questo non è accaduto di certo per l'articolo 18. Ci sono due parole da tenere a mente: tasse e credito. Ma si pensa solo ad azzoppare il lavoratore. Anche se a guardar bene, dopo tante parole, il tanto sospirato stravolgimento dell'articolo 18 non ci sarebbe, al momento cambierebbe solo una piccola clausola. Come scrive il Corriere della Sera (edizione online del 30 settembre): “Le aziende in difficoltà potrebbero «pagare» per mandar via il lavoratore senza rischiare il reintegro. Con un’incognita però. Davanti al giudice, il lavoratore potrebbe sempre dimostrare che si è trattato di un licenziamento se non discriminatorio almeno disciplinare e tentare così la strada del reintegro”. Proprio il caso di dire, tanto rumore per nulla, se questo non è teatro è di certo il solito teatrino della politica.
(Angela Francesca D'Atri - editoriale la Voce dei Castelli, ottobre 2014) 

domenica 7 settembre 2014

Nasce la Città metropolitana, che fine faranno i Castelli?

Manca appena un mese al 5 ottobre, data scelta dal sindaco di Roma Ignazio Marino per le elezioni della città metropolitana. Forse solo in pochi si sono accorti che la Provincia di Roma non c'è più, o meglio c'è ma non si vede, e al suo posto sta per  nascere una nuova realtà. A questo punto la domanda nasce spontanea: che fine faranno i Castelli Romani? Se è vero che qualche sindaco dei Castelli teme che il sindaco di Roma possa fare la parte del leone, è anche vero che Ignazio Marino dovrà dimostrare di avere abili doti di condottiero, considerati falchi, istrici, vipere e tritoni che albergano nel regno castellano. Per il momento, il problema principale che agita i sonni dei primi cittadini è quello di  far quadrare i conti; nei comuni dove si è votato a maggio, i neo sindaci sembrano metterci tutto l'impegno nel cercare di mantenere il consenso guadagnato in campagna elettorale, sperando che nel fare ciò sia posto in primo piano la qualità della vita cittadina. Bisognerebbe pensarci in particolare in città come Ciampino dove l'inquinamento acustico ha raggiunto livelli preoccupanti. Necessita rendere accoglienti i nostri siti, preservandone la bellezza, qui dove nidifica il falco pellegrino, dove c'è la via dell'acqua e del vino, i nostri sindaci devono far sentire la loro voce per scongiurare pericoli ambientali come il fantasma del gassificatore di Albano che ogni tanto ritorna, o il mostro del lago di Albano che misteriosamente sta risucchiando le sue acque. La nascita della nuova città metropolitana potrebbe, dunque, essere salutata come il luogo dove i Castelli possono far sentire meglio la loro voce e far valere le istanze dei cittadini. Non vorremmo, al contrario, che il nuovo ente fosse solo una brutta copia di qualcosa di vecchio, un film già visto. Per gli sviluppi, non ci resta che attendere.
Angela Francesca D'Atri (Editoriale La Voce dei Castelli, settembre 2014)

Storie di tutti i giorni

E' arrivato il bel tempo, è arrivata la vacanza meritata per tutti coloro che hanno prodotto, lavorato duramente, per tutti coloro che un posto da imprenditore o operaio ce l'hanno. Mentre per tutti quelli che lavorano quotidianamente per cercare un impiego, è sempre vacanza o meglio non lo è mai. I dati Istat ci mostrano cifre da capogiro sulla disoccupazione in Italia, in primis giovanile. Così ai Castelli si continua ad emigrare. Come Simone, un ragazzo di Velletri che lavora in Belgio che come tanti vorrebbe tornare a vivere nell'antica terra dei Volsci. Con tanta amarezza mi racconta che in Belgio un ragazzo a 28 anni può comprarsi una casa e mettere su famiglia, a 35 anni se vali hai un posto di responsabilità e un buon guadagno, i giovani hanno più potere dei vecchi e se vai in bicicletta ti pagano. L'Italia invece agli occhi dei giovani laureati appare una terra di raccomandati, la pensa così una giovane avvocato milanese venuta nella capitale a fare il concorso per magistrato. I posti, mi scrive solo per sfogarsi un po', sono già tutti assegnati. Ma c'è chi in Italia ha cominciato a non arrendersi, questione di carattere, perché dovremmo lasciare il nostro Paese nelle mani di chi è incapace di amministrarla e di portarla al pari delle altre nazioni europee? Lo sa bene un nostro collaboratore della Voce dei Castelli. Perso il posto per colpa della spending review, lui che ama scrivere e lo fa pure bene, si è rimboccato le maniche e insieme a tre cugini ha ripreso a fare il duro lavoro del nonno giù al lago di Castelgandolfo. Ara il campo al mattino e a sera raccoglie ottimi frutti della terra castellana. Ora sogna, e quando me lo dice gli brillano gli occhi, di farci un agriturismo e un bed and breakfast; vuole lavorare puntando sul turismo. Lavoro in Italia ce ne sarebbe pure troppo, visto le risorse che abbiamo, gli ottomila chilometri di costa, le opere artistiche ed architettoniche e la storia. Servono sicuramente politiche ad hoc e banche più propense ai prestiti per i giovani, ma serve soprattutto la voglia di fare, di saper cogliere le occasioni, di ricominciare se si è perso il lavoro. Occorre reinventarsi. Oggi, non possiamo fare più come i nostri padri e i nostri nonni che per tutta la vita hanno fatto un lavoro e solo quello, non possiamo anelare al posto fisso, dobbiamo invece essere pronti a cogliere nuove opportunità, senza smettere di essere ambiziosi. Come il mio carrozziere che, dopo tanti anni di duro lavoro con le automobili, può coronare finalmente il sogno di produrre un film e fare l'attore. Chi attribuisce alla crisi, dice Eistein, i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni.
Angela Francesca D'Atri (Editoriale La Voce dei Castelli - luglio 2014) 

mercoledì 11 giugno 2014

Europee: vince l'astensionismo

Le urne hanno dato ragione a Matteo Renzi, le europee le ha vinte lui, conquistandosi sul terreno quel ruolo di presidente che gli era calato dall'alto e contestato pertanto da molti. Adesso Renzi ha senz'altro l'investitura popolare per operare. La domanda viene spontanea: sono stati gli ottanta euro a far lievitare i consensi del Pd o il carisma di un capo che convince più di altri? Un Berlusconi azzoppato dalle sue vicende giudiziarie ha cercato di stargli dietro, anche se in verità in campagna elettorale il suo grillo per la testa era “Beppe Hitler, Beppe Pol Pott” e non come un tempo il comunismo che mangia i bambini. Grillo con il suo M5S, che si afferma come secondo partito, ha continuato ad intercettare il malcontento di molti ma non di tutti, altrimenti non si spiegherebbe il forte astensionismo, ha votato solo il 58, 69% degli italiani contro il 66,43% delle passate Europee.

Il merito di Renzi è quello di essere riuscito a ricompattare le divisioni interne del suo partito e naturalmente a convincere la gente, che dimostra di essere stanca del catastrofismo e di aver bisogno di buone notizie. Nel centrodestra il partito più forte è quello di Forza Italia (16,81%), anche se la Lega Nord ha portato a casa un buon risultato, è il quarto partito con il 6, 15%, staremo a vedere cosa accadrà, vista la proposta di collaborazione lanciata da Matteo Salvini al partito di Berlusconi che peraltro è stata già accettata. Per il momento si salva Angelino Alfano, non è arrivato lo tsunami, ma la tempesta sì. Il risultato del 4,38% per cento dovrà far riflettere il Nuovo Centro Destra, per il momento traghettato dai favori di cui gode il Governo, ma domani? Restano a casa i Fratelli d'Italia (3,66%), nonostante il discreto risultato riportato in centro Italia. I dati parlano chiaro, gli italiani che hanno votato si scoprono moderati, lontani da ogni voglia di rivoluzione e vogliono credere in Renzi. Il Pd è il primo partito della sinistra italiana e forte del suo 40,81% andrà in Europa insieme alla maggioranza di quei partiti che all’Europa e alla sua moneta credono, anche se avanza l'euroscetticismo. Il risultato storico de Le Pen con l'affermazione del Front national in Francia deve sicuramente far riflettere, ma siamo lontani dal sogno di coloro che speravano di sbarazzarsi dell'euro.

L'Italia si scopre stabile, non importa quello che accadrà nei prossimi mesi, il giorno dopo le elezioni, la borsa di Milano era in rialzo e lo spread in discesa, con un euro superiore al dollaro. Su facebook, a chi si chiede come è potuto accadere che si sia dato il voto ancora a chi si è spartito la torta in 20 anni, sarebbe bene rispondere che intanto si è trattato di un voto europeo interpretato da molti come un referendum pro o contro l'euro. Ha vinto la moneta unica. Altro dato su cui i partiti dovranno riflettere è quello che non è più tempo di frammentazione, il centrodestra diviso docet. Infine, che dire dell'astensionismo? Probabilmente, al momento la massa silente non identificandosi in nessuna forza in auge, preferisce stare a guardare in attesa forse di un nuovo vento di cambiamento. Vedremo cosa succederà con le prime busta paga, con le imminenti tasse da pagare e se la disoccupazione continuerà a salire.
Angela Francesca D'Atri (editoriale La Voce dei Castelli, giugno 2014)

venerdì 9 maggio 2014

Il Santo docile e il Santo della famiglia: gioia infinita per la canonizzazione di Roncalli e Wojtyla

Tanta emozione, lacrime di gioia in piazza San Pietro, con migliaia di fedeli giunti da ogni dove per partecipare alla giornata che passerà alla storia come quella dei quattro papi. La chiesa cattolica ha oggi due nuovi Santi: San  Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II. Pregheremo come Santo Papa Wojtyla che il 16 ottobre 1978, nella sua prima uscita, si rivolse con tali parole agli italiani: Se mi sbaglio mi corrigerete”. Il popolo esultò allora e grida di gioia si sono udite il 27 aprile per festeggiare la sua canonizzazione. Giovanni XXIII, definito da Bergoglio il Papa della docilità, è ancora nel cuore di molti che vissero gli anni del suo papato, ricordato come il papa Buono per il suo amore per le cose semplici. Per molti di noi, sono invece più intensi i ricordi di Papa Giovanni II per il suo lungo pontificato che andò dal 1978 al 2005 (anno della sua morte). Wojtyla si dedicò molto ai giovani e alla famiglia per cui Papa Francesco l’ha definito il “Papa della famiglia”. Indimenticabili le parole di San Giovanni Paolo II, erano parole dolci ma dette con forza tale da spingerti all'azione, non dimenticheremo il suo sorriso gioioso che sapeva infondere sicurezza e quel suo monito “Non abbiate paura”. Più di altri, Wojtyla ha saputo incidere negli animi la forza e la potenza della fede che è un mistero, forse amore, ma non si può spiegare a parole.  A celebrare la messa di canonizzazione in piazza San Pietro assieme a Francesco c'era il papa emerito Benedetto XVI.
"Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto”. Ha evidenziato Papa Bergoglio. “Non hanno avuto vergogna – ha continuato Papa Francesco- della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di lui, della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello, perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù. Sono stati due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito Santo, e hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia. Sono stati sacerdoti, vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti". 
L'apice della celebrazione è giunta con l'arrivo delle reliquie dei due papi portate sull'altare. Quelle di Giovanni XXIII sono state portate dai quattro nipoti della famiglia Roncalli, dal sindaco di Sotto il Monte, paese natale di Angelo Roncalli, e dal direttore della Fondazione Giovanni XXIII, don Ezio Bolis. A portare le reliquie di Giovanni Paolo II c'era Floribeth, la costaricana miracolata nel suo letto dove soffriva per una terribile malattia. Racconta di aver sentito la sua voce: “Alzati, sei guarita”. A testimoniare la sua guarigione le certificazioni mediche. Dunque, nuova speranza e nuova gioia per i credenti assistiti ora nel cammino della vita da due nuovi Santi, il suo docile pastore e il Santo della famiglia, come lo stesso Wojtyla avrebbe voluto essere ricordato. Definiti infine da Bergoglio quali “Promotori della pace”. (Angela Francesca D'Atri - editoriale La Voce dei Castelli maggio 2014)

mercoledì 16 aprile 2014

Sanità: se i tagli sono incomprensibili!

Da quando è cominciata la spending review nel settore sanitario, a pagarla veramente cara sono stati solo i pazienti. Da un po' di anni, assistiamo attoniti nel vedere questa falciatrice che taglia i servizi sanitari, i posti letto, i pronto soccorso, gli ospedali, mentre continuiamo a pagare ticket esosi. Tant'è che l'uomo comune non  riesce veramente a capire i vantaggi di questi tagli. I tecnici continuano a farsi forti di studi complessi su dove e come risparmiare, ma il buco della sanità appare incolmabile, e l'unica possibilità paventata è quella di continuare a tagliare. Tagli su tagli, e intanto sono i cittadini che rimangono in barella per ore e ore in un pronto soccorso, sono i malati che vengono rimandati nel giro di pochissimi giorni a casa, anche dopo una difficile operazione, mentre avrebbero bisogno di ulteriori cure, lasciati invece nelle mani di infermieri privati o nel migliore dei casi dei propri familiari. Carenze spaventose. Se la sanità è malata, è il caso di dire che ad oggi non è stata trovata ancora la cura. Si va avanti con palliativi che aggravano solo lo stato delle cose, con scioperi del personale e con politiche oscure. Tanto che ancora oggi, non si sa cosa ne sarà, tanto per dirne una, dell'ospedale San Giuseppe di Marino, finito paurosamente nella black list dei tagli governativi. La notizia, infatti, non è stata smentita. Chissà se servirà a smuovere le acque almeno l'ultimo tentativo dell'ex sindaco di Marino, oggi consigliere regionale, Adriano Palozzi, il quale ha invitato il ministro ed ex collega di partito, Beatrice Lorenzin, a visitare l'ospedale di Marino. “Per la Lorenzin - ha detto l'esponente di Forza Italia - sarebbe l’occasione propizia per constatare personalmente l’eccellenza sanitaria del San Giuseppe, le sue cinque sale operatorie altamente tecnologiche, il suo reparto di ginecologia completamente ristrutturato e gli interventi infrastrutturali che consentono al presidio di poter accogliere fino a 400 degenti”. Auspicabile sarebbe almeno un chiarimento per sapere cosa succederà a Marino e in tante altre realtà sanitarie dei Castelli Romani.
Angela Francesca D'Atri (editoriale la Voce dei Castelli, aprile 2014)

martedì 18 marzo 2014

Free-news, informazione libera

L'Italia è un paese strano. Siamo liberi ma non troppo. Forse, per colpa di quel retaggio culturale che ci portiamo dietro dai famosi anni del fascismo, quando circolavano le cartoline con quel prezioso consiglio: “Tacete il nemico vi ascolta”.

Il nemico ci ascolta è vero. Poi, noi giornalisti, anche se non siamo tutti uguali, dobbiamo stare molto attenti perchè scrivendo, oltre a compromettere la vita delle persone, rischiamo di finire in carcere per diffamazione. Anche se è notizia delle ultime ore che la Corte di Cassazione, con una sentenza, ha esortato a non infliggere la galera al giornalista, ma solo multe nel caso di una tale condanna. E poi ci lamentiamo che  i giornali scrivono tutti gli stessi pastoni? Senza tralasciare che il giornalista deve sempre sottostare al potere dell'editore che controlla le informazioni, a riprova di ciò il caso eclatante dell'Ora della Calabria, il giornale addirittura non è uscito per impedire che una tale notizia trapelasse.

Chi, oggi, può dire di fare libera informazione? Solo coloro che, per una sorta di volontariato sociale, decidono di dare informazione nel pieno rispetto dell'articolo 21 della Costituzione. Coloro che sono liberi da implicazioni economiche, politiche, religiose o razziali. Quando ci sono interessi in ballo, per forza di cose l'informazione non è libera.  Ecco perchè, nel leggere una certa stampa, sembra ancora che vengano rispettate le veline di una ipotetica rinnovata agenzia Stefani. Perchè continuare a sovvenzionare i giornali? Forse per continuare a perpetrare quell'indissolubile connubio stampa-stato-mafia?

Free-news.it nasce con una forte valenza ideologica. Qui, non ci sono interessi da tutelare. Vogliamo un'informazione libera, capace di essere davvero un potere in mano alla gente comune. Perchè non è ammissibile che vi sia disinformazione in faccende che pregiudicano la vita collettiva, come è accaduto ad esempio con la vicenda dei rifiuti tossici che hanno inquinato  l'Italia intera e non solo la Terra dei Fuochi. Le conseguenze le pagheremo tutti. Qui, come in tantissime altre situazioni, la colpa è anche del silenzio-assenso degli organi d'informazione.
Angela Francesca D'Atri

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giovedì 13 marzo 2014

Nel paese delle meraviglie

Con un balzo in avanti siamo entrati nell'era Renzi, nel tempo di un esecutivo fatto da giovani, che dovrà governare paradossalmente un paese che sta invecchiando. Quale sarà la cura del nuovo premier contro i radicali liberi? Probabilmente a questo Renzi non avrà pensato. Per il resto,  sembra avere le idee chiare su tutto. Cosa aspettarsi in più da questo Governo “politico” (precisazione dello stesso Premier), nato però senza elezioni, e con un sodalizio tra il partito democratico e il nuovo centro destra? Intanto, sembrerebbe marginale  il ruolo di Angelino Alfano e company. Certo è, che dopo Bersani un passo è stato fatto in avanti dal partito democratico: il nemico numero uno non è più Berlusconi ma Grillo e il suo Movimento 5 Stelle, l'unico che potrebbe portare via i voti. E il ruolo di Berlusconi in tutto questo? Naturalmente,  stare a guardare  per poi raccogliere il bottino di  guerra, magari già alle prossime Europee di maggio. Questo accade nel Paese ideale delle meraviglie. Nel Paese reale, invece, si continua a morire per mano di una cartella di Equitalia; i trentenni rimasti in Italia vivono a casa con i genitori e, buon per loro, percepiscono la loro paghetta; chi ruba va in carcere, ma solo se italiano. Si continuano a pagare le tasse anche per servizi pubblici inesistenti, come l'illuminazione carente in molti quartieri della capitale. Lasciano il territorio nazionale le imprese, ma continuiamo ad essere contattati dai nuovi call center, dislocati magari in Albania, dove se un operaio viene pagato più o meno 200 euro al mese, non osiamo azzardare ipotesi sullo stipendio di un povero operatore telefonico. E noi, con tutti i laureati mandati a casa che hanno fatto questo mestiere per anni nell'attesa di un posto migliore, dovremmo continuare ad ascoltarli? Se il pessimismo mina la fiducia e il progresso, e se per uscire dalla crisi serve autostima come ha ben detto il Commissario agli Affari Economici Europei, è anche vero che per capire questo dovremmo sentirci, ancor più che italiani, cittadini europei. L'Europa è fatta, bisogna fare gli europei.
Angela Francesca D'Atri (editoriale La Voce dei Castelli- marzo 2014)

lunedì 10 febbraio 2014

Castelli per vecchi, se questo è il futuro

I Castelli Romani, come del resto l'Italia intera, si stanno rivelando essere sempre meno un posto per giovani. Non fuggono solo i cosiddetti cervelli, ma anche le braccia e le gambe di tanti giovani disoccupati. Basta un lavoro, anche umile purché pagato, per spingere alla fuga i giovani. Perché il vero problema è portare a casa il salario. Non è solo questione di soldi, ma anche di dignità. Su questo è bene soffermarsi. E' bene farlo soprattutto in tempo di elezioni. In primavera si vota a Ciampino, Marino, Grottaferrata, Frascati e Palestrina, ne parliamo approfonditamente sulle pagine del nostro giornale. Ai politici che si candidano, pieni di entusiasmo e buoni propositi chiediamo di riflettere su questa nuova ondata di emigrazione e di cercare i rimedi. La gioventù che va via, quale vuoto lascia nei nostri paesi? La politica può creare opportunità di lavoro soprattutto laddove la natura non è stata avara. La bellezza paesaggistica, ambientale e culturale dei Castelli non si discute, se ben sfruttata offrirebbe tantissime opportunità lavorative. Qui dove, al contrario, c'è un aeroporto che ha creato solo fastidio ai residenti, è impensabile che non sia stato sfruttato per incrementare il turismo. Qui dove tutto sembra morire, a cominciare dal silente e prosciugato lago Albano. Ai Castelli dove qualcuno pensa, invece, a sopravvivere magari alimentando una nuova discarica o sfruttando qualche concessione edilizia. Chi fugge non ha più alcuna fiducia nella politica, si vede portare via il futuro e con esso la sopravvivenza. Ecco perché c'è bisogno di gente capace di amministrare e che abbia le idee chiare per ridare il futuro usurpato alle nuove generazioni. Senza questo, siamo destinati a diventare non solo Castelli per vecchi ma un posto senza risorse, senza ideali, un luogo per solo per furbi, un paese povero.
Angela Francesca D'Atri (editoriale La Voce dei Castelli, febbraio 2014)

domenica 5 gennaio 2014

2014: “Brioches per tutti”

La corsa agli oroscopi è appena cominciata, ma nessuna sorpresa dal punto di vista fiscale, il 2014 sarà un anno di rincari. Tasse, bollette, benzina, persino spedire una lettera quest'anno ci costerà di più, colpa dell'aumento dell'iva di quel giochetto che a ottobre dello scorso anno permise alla classe di governo di aumentarla in barba al popolo. Immaginabili le ricadute sui consumi, le chiusure di bottega, i conseguenti posti di lavoro in calo, le famiglie ormai sul lastrico, aumento della microcriminalità, meno propensione al risparmio. Questa la fotografia di un paese in declino ancorchè fisico, morale. A questi italiani provati, delusi e senza speranze parleranno gli aspiranti al Parlamento europeo. E cosa diranno loro? Anche su questo è facile fare pronostici. Ma a quanti nel profondo del loro essere si chiedono fino a quando potremmo andare avanti così, la risposta é: fino a quando avremo al Governo politici che non fanno l'interesse collettivo e continueranno ad essere guidati dalle lobby, fino a quando sopporteremo che i sanguisuga continuino a governarci. Fino a quando riusciranno ad abbindolarci gli stessi uomini, non importa il partito, che ci hanno governato o hanno influenzato il Governo negli ultimi decenni. Fino a quando continueremo a pensare di poter vincere senza essere invitati al gioco delle tre carte: partito perde e partito vince, ma non vince il popolo sovrano, perchè ci sono partiti che in una stessa legislatura riescono a essere al Governo e all'opposizione, ci sono governi tecnici e di unità nazionale, ci sono uomini che credono di rappresentare il nuovo che avanza ma che si trascinano dietro il vecchio. Alla miopia dei tanti, corrisponde quella dei pochi. Così mi viene in mente quello che rispose la regina Maria Antonietta d'Asburgo immediatamente prima della cosiddetta rivoluzione francese.“Maestà il popolo non ha pane” e lei “Che mangino brioches”. Aspettiamo le brioches.
Angela Francesca D'Atri (Editoriale La Voce dei Castelli, gennaio 2014)