lunedì 14 novembre 2016

Frigogate, nella tela dei rifiuti

Il caso frigogate di cui per giorni si è mormorato, la cui tela è stata bene ordita, non è solo un continuo scaricabarile. Ops uno scarica frigoriferi! Il problema dei rifiuti ingombranti abbandonati per strada è un vecchio e irrisolto problema, non solo della capitale. Non a caso, qualche settimana fa sui giornali castellani è apparsa la foto di un materasso abbandonato in pieno centro a Genzano, l’accaduto ha fatto scalpore suscitando l’orrore tra i cittadini. Il problema non è solo delle amministrazioni locali che hanno il compito di far funzionare al meglio il servizio dei rifiuti. 

Tralasciando anche le storture delle ecomafie che ti danno il buongiorno ai cassonetti, voglio puntare il dito contro gli stessi cittadini ormai non educati a sufficienza sul rispetto dell’ambiente. Una questione anche d’inciviltà. Capitolo a parte sono i senzatetto in continuo aumento nelle nostre città. Tempo fa segnalai la presenza di un materasso che sostava impunemente in un parcheggio per disabili. Lamministrazione lo fece rimuovere subito come ebbi modo di accertarmi. Dopo qualche giorno il materasso è ritornato al suo posto, probabilmente quale giaciglio di un homeless. 

In giro si trovano divani, librerie, sedie, mensole, poltrone, televisori, acquari che si accumulano giorno dopo giorno e diventano piccole discariche sparse un po’ qua e un po’ là. La bellezza dei noi nostri posti è violentata tristemente. Tanto per dirne una, passando per via dei Laghi non si riesce a fotografare il lago Albano senza immortalare anche l’immondizia! Si può ipotizzare che i servizi di smaltimento, le isole ecologiche attuali non siano in grado di fare fronte all’immensa mole di rifiuti che produciamo. E’ possibile risolvere il problema con la sola raccolta differenziata? In un mondo ideale forse sì, ma essendo qui sulla terra, molti cittadini obbligati alla raccolta porta a porta, vengono meno al loro dovere e scaricano dove meglio gli aggrada. Forse non ha torto chi sostiene che bisognerebbe risolvere il problema a monte riducendo gli imballaggi. Dopo l’introduzione delle buste ecologiche che hanno cambiato il nostro modo di fare la spesa, si potrebbe pensare di avviare questa nuova rivoluzione.
Angela Francesca D'Atri (editoriale La Voce dei Castelli - novembre 2016)


Referendum costituzionale: non in nome della spending review!

Si torna a parlare di elezioni, di riforme e di referendum. Cominciamo dall'elezione del prossimo 9 ottobre del Consiglio della Città Metropolitana di Roma che ha sostituito l'ente Provincia in nome della tanta agognata spending review. Un'elezione che potrebbe passare in sordina, tanto non siamo noi cittadini dei 121 comuni della provincia di Roma a dovercene occupare. 

Questo diritto non ce lo abbiamo più, sono i nostri rappresentanti eletti in Consiglio comunale che votano e sono loro che faranno parte del Consiglio metropolitano. Considerati i numeri esigui di affluenza alle amministrative, è facile immaginare quanto questo Consiglio possa essere realmente espressione della volontà della cittadinanza!

Il prossimo 4 dicembre si vota invece per il Referendum costituzionale. Senza entrare nel merito del quesito, di cui peraltro parliamo all'interno del nostro giornale, la riflessione è unica: non ci lasciano decidere! Partiti e movimenti si arrogano il diritto di decidere per noi. Stiamo così demandando ai nostri rappresentanti la fine del presunto bicameralismo perfetto, abbagliati dall’idea di un referendum pro o contro il premier.

Ma allora perché chiamare in ballo i cittadini e dire loro che se votano per il Sì non potranno più eleggere i senatori? Verrebbe da dire, ma fino ad oggi li hanno eletti i cittadini? Non dimentichiamo che il sistema elettorale fino alle scorse democratiche elezioni politiche era il “porcellum”, mentre il sistema elettorale in vigore necessita già di un ritocchino sia che al referendum vinca il No sia che vinca il  Si!

Se al Senato andranno i rappresentanti delle Regioni, in molti insinuano che si risparmieranno dei soldi, poco importa se non saranno più i cittadini a eleggere i senatori. Da anni si fa una campagna contro gli stipendi esosi e irragionevoli dei nostri parlamentari, sarebbe giusto che fossero pagati molto di meno e che la politica non fosse un mestiere ma una vocazione per fare il bene del Paese e del popolo, ma per questo non ci vuole una riforma costituzionale.

Prima di decidere, gli italiani hanno il dovere di studiare o almeno di riflettere sul perché i nostri padri costituenti, all'alba della Repubblica, hanno inserito nella Carta Costituzionale il referendum (e dunque chiamato in ballo la volontà popolare) per la modifica della nostra Costituzione. Dopo questa riflessione, serenamente si può decidere se lasciare le cose come stanno oppure no. Non è un referendum a favore o contro Renzi, non è neanche un referendum tra conservatori e riformisti, è il nostro referendum che potrebbe toglierci, se è questo che vogliamo, qualcosa che i nostri Costituenti ci avevano dato: il bicameralismo perfetto.

Ma quanti italiani rifletteranno su questo?


In realtà, è facile prevedere che molti lettori presi dalla confusione non voteranno, e chi voterà si lascerà guidare dalla parte politica di riferimento. L'italiano medio potrebbe rispondere solo a quella parte del testo referendario in cui gli si chiede la riduzione del numero dei parlamentari e il contenimento dei costi di funzionamento della costituzione. In tutto questo la soppressione del Cnel gli farà un baffo, dirà uno in meno! E la Riforma del titolo V della Costituzione? Non c'è tempo per leggerla! E il bicameralismo perfetto? A voi lettori le conclusioni.
Angela Francesca D'Atri (editoriale La Voce dei Castelli - ottobre 2016)

Rischio sismico ai Castelli, la fatalità di lasciare tutto al caso


Il terremoto ha scosso i Castelli Romani, alle 3.36 dello scorso 24 agosto abbiamo avvertito la paura, avuto anche le nostre perdite di vite umane, siamo stati solidali inviando aiuti ai territori colpiti. Il sisma del Centro Italia deve, però, scuotere anche le coscienze dei nostri amministratori. Deve risvegliare i cittadini dal torpore se è vero, come risulta da un'indagine dell'Istituto Nazione di Geofisica e Vulcanologia nella zona dei Castelli, che 7 cittadini su 10 sottostimano il rischio che un sisma possa colpire le nostre zone. Il rischio, purtroppo, è alto, di livello 2 su una scala da 1 a 4. 

Chiediamoci, cosa accadrebbe se un terremoto di magnitudo 6 o maggiore si verificasse qui. Nessuno dei comuni dell'area dei Castelli romani può definirsi al riparo. I sismologi sono stati chiari, se un terremoto è impossibile da prevedere dal punto di vista temporale, prevedibili sono invece le aree interessate. Perché, dunque continuare a sottostimare il pericolo? Ci possiamo difendere. Rispetto alle faglie dei terremoti di subduzione, come ad esempio quelli del Pacifico con magnitudo 9 se non superiori, con faglie lunghe centinaia o più di mille chilometri, le faglie nostrane fanno meno paura a patto però che si rispettino determinate precauzioni. Ecco perché mettere in sicurezza il territorio. Farlo prima che un evento del genere finisca per sconvolgere per sempre la nostra vita e distruggere i nostri ridenti territori.  

Siamo certi che i luoghi pubblici, scuole, musei, biblioteche, uffici siano stati costruiti davvero con criteri antisismici? E come la mettiamo con l'abusivismo privato? Non esiste ricostruzione che possa portare indietro il tempo e far rivivere le nostre città. Non ci sono aiuti che possano far tornare in vita le persone care perse in queste catastrofi. Non bisogna arrendersi alla fatalità. Non esiste altra cura se non la prevenzione. 

Mentre si piange, c'è chi con i terremoti s'ingrassa. Fa tristezza pensare che anche sui morti c'è chi riesce a fare bottino.  La cronaca degli ultimi anni ci ha insegnato amaramente che ci sono gli sciacalli che devastano le case abbandonate, ci sono quelli che rubano i fondi e chi prende soldi per fare cose che non farà bene.  Per questo dobbiamo pretendere risposte da chi ci amministra e dove si può si deve agire subito. Siamo tutti in pericolo, di pressapochismo si può morire.

Angela Francesca D'Atri (editoriale -La Voce dei Castelli, settembre 2016)

venerdì 15 luglio 2016

Ma che sorpresa!

Metti una mattina la sorpresa di una pec o di una classica raccomandata dell'Agenzia delle Entrate. Se si scomoda a cercarvi ci sarà un motivo, sarà pure un avviso bonario e se c'è uno sbaglio basta chiarire, telefonare, prendere un appuntamento. Un po' come perder tempo. Non la prenderanno di certo bene i 100 mila destinatari degli avvisi di questi ultimi giorni, altri ne arriveranno dopo l'estate.

Ci sono stati errori naturalmente, e nel mirino è finita la dichiarazione presentata nel 2013 per i redditi del 2012. Quella svista commessa forse per sbadataggine o per colpa di un intermediario poco attento. In molti casi si tratta di briciole su redditi non proprio alti. Nella mischia finisce anche chi ha già pagato per quest'errore e si vede recapitare un nuovo avviso. Il problema non è certo la sanzione che in teoria potrebbe anche essere giusta. Chi sbaglia paga. Il problema è sempre lo stesso, i piccoli contribuenti sono super vessati mentre i pesci grossi sguazzano. Ma per capire fino in fondo il nervosismo di questi 100 mila “avvisati”, dobbiamo sollevare il dito contro il sistema Italia che ha prodotto negli ultimi decenni un altissimo livello di incapacità riscontrabile nei piani alti. Gli errori però li paga la base.

 E ce ne accorgiamo dai problemi che da utenti riscontriamo quotidianamente con ogni tipo di gestore di servizi, luce, acqua, gas, telefono... errori su errori, bollette che non arrivano o arrivano doppie e maggiorate, ore ed ore passate ai call center che non rispondono e poi si rivelano incapaci di gestire le più semplici problematiche. Morta ogni speranza non ci rimangono che le code infinite agli sportelli. L'era digitale doveva risolvere i nostri problemi, sembrano invece essere quadruplicati. Ma forse è solo una brutta sensazione che il vento caldo di luglio dissiperà. Buona estate cari lettori.


Angela Francesca D'Atri - editoriale La Voce dei Castelli - Luglio 2016

domenica 26 giugno 2016

Una nuova moschea ai Castelli

Una moschea a Marino? La boutade di un esponente della sinistra marinese, se ha entusiasmato la comunità islamica dei Castelli, dall’altro ha agitato non poco gli animi di molta gente.  Non solo di destra. Verrebbe da dire che male c’è… è solo religione. Forse! Potevamo pensarla così, dovremmo continuare a pensarla così. Se non fosse che quella serpe del terrorismo scivola dentro i nostri pensieri democratici, di apertura nei confronti dei nostri fratelli islamici, e lì si annida con tutto il suo odio. 

Del resto noi occidentali non riusciamo neanche a capirla una guerra di religione. Siamo cattolici, ortodossi, cristiani, testimoni di Geova, ma neanche il più estremista vorrebbe morire per andare prima in paradiso. Non in questa fase storica. Abbiamo dimenticato le crociate. Non ci ricordiamo dell’impero ottomano, dei turchi e dei saraceni che hanno invaso le nostre coste. Perché dire no ad una moschea per musulmani non estremisti? Non saremmo democratici se non ammettessimo che tutti hanno diritto di professare la propria fede nel luogo di culto più appropriato. Il principio è nobile. Sta di fatto che siamo in un periodo storico di profonda incertezza. Non sappiamo chi sono i terroristi, si confondono tra di noi, cosa effettivamente vogliono e non sappiamo se davvero si tratti di una guerra di religione come vorrebbero farci credere. Ciò che sappiamo, però, è che ci sono degli uomini molto ricchi e potenti che gestiscono la vita di alcuni islamici e che utilizzano anche i luoghi di culto per creare odio contro l’Occidente. 

Si parla di terza guerra mondiale e non a torto se pensiamo agli scenari parigini, a quelli del Belgio, e agli altri attentati che si consumano quotidianamente in molte parti del globo. In questo momento di fragilità, dove ogni giorno si sente parlare di cellule dormienti che stanno tramando contro Roma e il Vaticano, siamo sicuri che essere così democratici sia il modo giusto di comportarsi? Alcune affermazioni lasciano il tempo che trovano, del resto siamo in campagna elettorale e ogni appiglio è lecito, ma una riflessione profonda su certe tematiche è d’obbligo. Non possiamo far finta che nulla sia accaduto e che nulla stia per accadere.

 Angela Francesca D'Atri - editoriale La Voce dei Castelli, giugno 2016

“I politici non hanno mai smesso di rubare”

“I politici non hanno mai smesso di rubare, hanno smesso di vergognarsi”. Si è scatenata la bufera dopo le dichiarazioni sulla corruzione del presidente dell'Anm Piercamillo Davigo al Corriere della Sera. Le parole dell'ex pm di Mani Pulite possono solo sorprendere chi per ruolo istituzionale si trova a difendere l'indifendibile. Del resto, il malcostume imperante non depone a favore della politica. Che la corruzione sia dilagante, lo testimonia del resto il Rapporto Corruzione 2015 dove l’Italia, con i suoi 44 punti (lo scorso anno erano 43), si colloca al 61esimo posto tra le 168 nazioni censite, penultima nella lista dei 28 membri dell’Unione Europea, dove stanno addirittura meglio Grecia e Romania, mentre fa peggio solo la Bulgaria. Se i politici hanno smesso di vergognarsi, i cittadini hanno smesso di sorprendersi.

La corruzione rode e corrode tanto la politica nazionale quanto quella locale. Gli ultimi episodi che ci riguardano da vicino sono i fatti di Marino. Dove, dopo la caduta dell'ex sindaco Silvagni, a due mesi dalle amministrative di giugno, vengono a galla nuovi episodi di tangenti, e questa volta a finire nella brace sono i due assessori Marco Ottaviani e Mauro Catenacci, volti noti e politici protagonisti delle ultime due consiliature a palazzo Colonna. I due assessori avrebbero intascato una tangente di 80 mila euro relativa all'apertura di un supermercato della catena Lidl.

 Secondo le indagini portate avanti dai carabinieri, i due assessori con l'aiuto di un amico commercialista, avrebbero mascherato la copiosa tangente attraverso l'emissione di una fattura per operazioni inesistenti da parte di una cooperativa di comodo a cui Lidl Italia Srl avrebbe dovuto versare l'importo di lavori utili a trasformare un magazzino in supermercato, lavori mai eseguiti. Il supermercato fino ad oggi non ha ancora visto la luce a causa di difficoltà burocratiche. Ci sarebbe dell'altro. Oltre al pagamento della tangente, infatti, uno dei due assessori finiti in manette avrebbe segnalato alcune persone da assumere. Episodi del genere finiscono per divenire parte della cruda normalità di un paese che ormai, avendo perso la dignità, non ha più nulla da perdere. In Italia, non tutti i politici sono corrotti, è vero, ci sono persone oneste, ma il malcostume imperante non lascia possibilità di scampo.

Così mentre i topi rosicchiano l'ultima fetta di formaggio, assistiamo al delirio imperante dalla sanità alla cultura, dalle strade ai trasporti, al lavoro che non c'è, senza capacità per i cittadini di far sentire la loro voce. Questo è sicuramente il male peggiore, vivere in un paese democratico ma non sapere usare le armi che la democrazia offre per difendersi.
Angela Francesca D'Atri (editoriale la Voce dei Castelli - maggio 2016)

mercoledì 9 marzo 2016

Happy birthday Italia

L'immagine di una porta chiusa, dipinta con i colori della nostra bandiera, diventa l'emblema della crisi che non sembra darci scampo. Aldilà delle considerazioni economiche che si possono fare sull'argomento, questa volta è il caso di soffermarsi sulle ricadute sociali. L'Istat ci mette in guardia su un nuovo allarmante minimo storico raggiunto dal nostro Paese: gli italiani fanno sempre meno figli, e per la precisione la media è di 1,35 per donna. Manca la materia prima per costruire il nostro futuro. Non chiudono solo le aziende per assenza di aspettative positive che fanno frenare gli investimenti. Non se ne vanno all'estero solo i nostri tesori, i nostri cuori e i nostri cervelli. Chi rimane in patria lo fa sacrificando la prole. Le famiglie italiane sono sempre più vessate dalle tasse, colpite nella proprietà di beni immobili e mobili. Senza contare l'incertezza lavorativa, il precariato, i bassi salari, il malfunzionamento dei centri dell'impiego e tutti i problemi di un sistema clientelare che non fa emergere i più meritevoli. Per non tralasciare la condizione delle donne lavoratrici, costrette troppo spesso a scegliere tra il lavoro e la famiglia. L'Italia sta chiudendo anche per questo. Perché se continua a diminuire la natalità e continuano le fughe all'estero, non c'è crescita e non c'è futuro. Alla radice ci sono scelte politiche poco attente, mentre si pensa a dare diritti alle coppie gay, si dimentica che quelle etero per problemi economici risparmiano anche sulle culle. Non è un bonus bebè che fa decidere di mettere al mondo dei figli, ci vuole la prospettiva di un paese solido in cui farli crescere. Il nostro declino si misura purtroppo anche dalla mancanza di politiche lungimiranti capaci d'invertire la triste e bassa natalità che ci destina ad essere un popolo stanco e vecchio. Sta finendo il sogno di quell'Italia fatta con il sangue di tanti giovani, nata il 17 marzo del 1861 e oggi vuota e stanca, costretta a piegarsi ai più forti, senza potere decisionale, in mano alle lobby, con i bilanci i rossi, con le banche che ci spremono fino all'osso. E ancora, con riforme becere che ci stanno togliendo tanti diritti, da quello elettorale a quello sanitario e pensionistico. Per vedere il bicchiere mezzo pieno ci vorrebbe un radicale cambio di tendenza, con proposte concrete per i giovani e con politiche per la famiglia; ma il sistema è corrotto, e la società civile dorme chiusa nel suo individualismo. A chi dobbiamo restituire le chiavi?
La Voce dei Castelli - editoriale marzo 2016 di Angela Francesca D’Atri

venerdì 5 febbraio 2016

Tra bad bank e bail in, chi ci salverà dalle banche?

Banche che saltano, banche che rischiano di saltare. E' delirio sui mercati finanziari. La politica diventa sempre più economia, la crisi delle banche entra negli affari di Governo con il suo conflitto d'interesse. Se sul finire del 2015 sono falliti quattro istituti bancari, quanti rischiano di fallire oggi? La situazione non spaventa il Governo, tremano invece come foglie i piccoli risparmiatori. Con l'inizio del nuovo anno, le normative europee hanno chiarito che le banche in crisi devono salvarsi da sole senza aiuto dello Stato e dunque senza alcun costo per i contribuenti. Uno dei modi con cui farlo consiste nel salvataggio interno, il cosiddetto “bail in”. In caso di fallimento della propria banca, quelli che hanno investito i risparmi in azioni, in obbligazioni subordinate, in titoli di debito non garantito saranno i primi a capitolare, seguiti dai correntisti oltre i centomila euro. Il problema degli italiani non è solo di natura politica e cioè se il Governo dovesse aprire o meno una crisi dopo il fallimento di Banca Etruria per il cosiddetto conflitto d'interesse del ministro Boschi, ma è soprattutto di tipo economico. Come tutelarsi ora nel caso di fallimento di altre banche? Gli ansiosi avranno pensato di disinvestire i propri risparmi, per salvare il salvabile, naturalmente molti continueranno ad azzardare e scommettere ancora sulla solidità del proprio istituto. I correntisti con conti di deposito superiore a 100mila euro possono tutelarsi cointestando il conto magari con il proprio coniuge. Altra possibilità è quella di mettere i soldi in cassette di sicurezza rinunciando agli interessi. Rimane il mattone (con annesse tasse), e infine il vecchio materasso a rischio furto. Ma il problema di fondo è che non sta di certo bene la nostra economia. Perché le banche falliscono? Senz'altro è colpa della speculazione, ma non solo. C'è il caso di tanti piccoli imprenditori e di tutti coloro che hanno chiesto un prestito, un finanziamento e che non riescono più a restituire. Una situazione di tossicità della cui soluzione si occuperà la famigerata bad bank. Solo il nome fa paura. Una banca cattiva come potrà aiutare i poveri debitori? Ma questa è un'altra storia! Tornando alle banche bisogna dire che pagano anche la discesa del prezzo del petrolio. Gli sceicchi avevano investito in Italia, e ora? Come la mettiamo la mettiamo è il piccolo risparmiatore che ci rimette in una situazione di crisi, perché non diversifica come fanno i ricchi e che, come nel caso del pensionato di Civitavecchia, finisce per pagare con la vita la sua fiducia nel sistema. Naturalmente le cose stanno cambiando, le banche potranno accorparsi, divenendo più solide, inoltre la bad bank contribuirà a far uscire dall'affanno gli istituti oggi in bilico. Preme, però, sottolineare che se la truffa si nasconde dietro l'angolo, molto spesso questa si alimenta non solo della fiducia riposta nel funzionario, direttore, o promotore finanziario di turno, ma è anche figlia dell'ignoranza. Si finisce per non sapere come vanno effettivamente le cose. Non ci si informa a sufficienza. Rimaniamo abbindolati da quello che si dice in tv, incantati da ministri che ignorando le loro stesse riforme, incassano assenso dicendo quello che i cittadini vorrebbero sentirsi dire, ma le cui parole spesso sono anni luce distanti dalle loro stesse riforme. Il consiglio spassionato, a fronte dei più recenti dati che parlano dell'ignoranza degli italiani, la percentuale si attesta al 18,5%, è quello di leggere, d'informarsi, per farsi le proprie idee, ed essere meno superficiali. Solo così potremo salvarci dalle false credenze e dalle grinfie di tutti coloro che fanno i loro affari sulla pelle degli inconsapevoli, poveri e ignari cittadini. Quando non ci uccidono con i bisturi spuntati della malasanità, ci derubano. Possibile che queste cose facciano meno paura di un fucile giocatolo in mano a un presunto terrorista?
Angela Francesca D'Atri (editoriale la Voce dei Castelli - febbraio 2016)